BE TI AFRIQUE
Agosto 2012.
Il viso attaccato al finestrino dell’aereo, quella terra che si allontana da miei piedi e dai miei occhi, la stessa terra che fino a mesi prima, ignoravo.
Mesi prima. Riunione.
Parla Suor Rosa, colei che ci accompagnerà. Noi siamo sei ragazze sconosciute che hanno scelto di vivere questa esperienza.
SR: “Ragazze, staremo 3 settimane , la destinazione è la Repubblica Centrafricana”.
Ho risposto con un ok a quella notizia, ma ho finto, perché appena arrivata a casa, ho cercato informazioni e scoperto che se tracci una croce sul continente africano, nel punto di intersezione, trovi la dimenticata e sconosciuta Repubblica Centrafricana.
Ex colonia francese, indipendente dal 1960. Repubblica semi-presidenziale. Quasi 6 milioni di abitanti.
Lingua parlata: francese e sango. Indice di sviluppo umano , basso (0.404), in classifica al 188° posto in una classifica di 191 paesi. (dati 2021)
Capitale: Bangui. La mia meta, la nostra meta.
Una missione, un orfanotrofio gestito dalle suore dell’ordine Figlie del Sacro Cuore di Gesù.
Arriviamo a Bangui, ci spostiamo in periferia, siamo pronte.
Guardando dal vetro del pick up mi rendo subito conto che la situazione della povertà, supera il mio immaginario, baracche, solo baracche, fogne a cielo aperto, la strada verso l’orfanotrofio è tutta così.
Arriviamo, la struttura è grande, bella, verde, tutta cintata. E’ gestita da tre/quattro suore e assieme a loro, vivono bambini in età scolare, che sono stati abbandonati e lasciati al portone di questo luogo, vivono ragazzi orfani di uno o entrambi genitori e due tuttofare, che si occupano del piccolo orto e curano i pochi animali.
All’interno di questa piccola oasi felice, i bimbi vanno a scuola, mangiano, studiano, giocano, dormono e vivono. E’ tutto lì, scuola, mensa, dormitorio, campo da basket, prato e inclusa la casa del volontario, dove alloggiamo noi, alle mura esterne di questo mini villaggio.
Il nostro compito sarà quello di gestire il tempo vacanze, organizzando un centro estivo e siamo pronte.
Abbiamo preparato giochi, storie, canzoni, tornei da svolgere al mattino, mentre al pomeriggio, visitiamo realtà locali, una fabbrica di olio di palma che si conclude con il consiglio a non lasciare la nostra isola felice per via dell’arrivo di ribelli in città, dai quali noi, non eravamo ben viste, dopotutto, siamo le bianche ricche e stronze.
I giorni passano, i bambini si aprono a racconti che non riesco a digerire, c’è una Fatou che ha 13 anni e tra poco finirà il suo tempo di permanenza e dovrà lasciare l’orfanotrofio verso un chissà, c’è una Agnes di 5 anni, portata alla struttura dal padre, per permetterle di avere un’istruzione e vivere meglio e poi, chissà, ci sono tanti chissà…
Ci sono bambini che si sono nascosti sotto i propri letti mentre i ribelli saccheggiavano le loro case, chi è scappato di casa per non essere rapito e ci sono dei bambini che vivono per strada, che non hanno nulla, non frequentano la scuola o l’orfanotrofio, ma li incontriamo un pomeriggio, in una struttura dove una volta ogni tre giorni, ricevono un pasto sicuro.
Il mio cuore si frantuma e il mio cervello dice basta.
E’ troppo. Piango, chiamo i miei genitori, voglio tornare a casa.
Notte di riflessione. Dopotutto, sono solo altre due settimane.
Resisto. E vivo. D’improvviso tutto diventa chiaro. Sono fortunata, sono nata dalla parte giusta del mondo, ho una scarpiera piena di scarpe, tanti di loro non le hanno , ma non si piangono addosso quindi, smetto di farlo pure io e tutto cambia.
Accetto i ragni giganti in casa, gli scarafaggi nel frigorifero, il buio pauroso della notte e tutto si trasforma in “gara di coraggio contro gli insetti”, la notte, diventa amica di confidenze notturne. Quel cielo, chi se lo scorda?
I bambini che bussano alla porta della nostra casa per dare il buongiorno, noi che insegnamo canzoni , loro che trasformano il comodino in bongo, la musica, i canti travolgono e il centro diventa festa.
Loro, piccole anime sorridenti che insegnano ad avere gli occhi aperti verso le cose importanti della vita.
Io che assaggio i macongo ( vermi giganti bolliti), una prelibatezza per loro, meno per me; noi che ci addentriamo nella foresta dalle popolazioni pigmee per ascoltare le loro storie; noi che nel cassone del nostro pick up veniamo derise con lancio di vermi e che senza reagire, chiudiamo gli occhi e aspettiamo che passi il momento del, come lo chiamo io, “razzismo al contrario”, io che mi riempio il cuore e rido sotto gli aquazzoni che ci sorprendono.
No, non sono pronta.
Non sono pronta a lasciare quei bambini, quei sorrisi pieni e sinceri, quegli occhi profondi e luminosi, quella terra rossa, verde, povera, aspra, crudele, ricca.
Torno a casa con la consapevolezza di aver dato qualcosa, anche solo un ricordo per qualcuno, ma non ero pronta a ricevere questa onda di vita travolgente che inizialmente mi ha frantumato, ma poi, ha rimesso insieme i pezzi del mio essere, del mio cuore, regalandomi un’estrema gratitudine.
La mia valigia è piena.
“Be ti” in Sango, significa nel cuore’, ed è proprio lì che questa terra, rimane.